A CastelBrando spesso la Storia si fonde con la leggenda. Tra curiosità, nobili imprese e racconti popolari.
Tra imprese di grandi guerrieri e leggende popolari, ogni angolo del castello potrebbe raccontare una storia.
Noi ne condividiamo qualcuna.
Se vuoi scoprire tutto ma proprio tutto sul castello, puoi gustarti una visita guidata.
Sapevi che ci sono diversi passaggi segreti all’interno del castello, alcuni dei quali conducono fino a valle?
Sapevi che in ogni camera si trova uno stemma diverso, a testimonianza di oltre 520 anni di nozze tra i conti del castello e altre nobili famiglie?
Sapevi che CastelBrando usa lo stesso sistema di riscaldamento a radiazione del Museo Ermitage di San Pietroburgo?
Sapevi che il secolare Cedro del Libano che si trova nel giardino del castello diventa ogni anno il più alto albero di Natale d’Italia?
Sapevi che nel Cinquecento il castello ospitava sontuose feste, alle quali era spesso ospite la Regina di Cipro Caterina Cornaro?
Sapevi che l’acqua che alimenta CastelBrando è la stessa usata dai Romani?
Sapevi che a CastelBrando sono ancora presenti diversi strumenti di tortura, come la Berlina e il Pozzo dei Coltelli?
Nella strategica X Regio, regione di confine della penisola italica, i Romani realizzarono il primo collegamento tra il mondo latino e quello germanico, la via Claudia Augusta, che dall’Adriatico saliva fino al Danubio
Creata inizialmente come arteria di conquista e di difesa, la via fu terminata nel 46 d.C. dall’imperatore Claudio Augusto con finalità differenti: doveva infatti favorire lo scambio di merci e sapere con l’area germanica, contribuendo allo sviluppo civile.
Considerata comunque la sua posizione strategica – in quanto baluardo dfensivo per eventuali incursioni dal nord -, lungo la via vennero eretti diversi castrum, ovvero fortificazioni in legno e pietra che fungevano da accampamento per i legionari e da postazioni fisse per il controllo del territorio.
Nella parte più a monte dell’attuale sito in cui sorge CastelBrando, ne fu eretto uno di particolare importanza, dotato di muri spessi 2/3 m e alto circa 30 m, che secondo le stime ospitava circa 200 soldati.
Il castrum era provvisto di prigioni e dei Bagni Romani, i cui resti sono ancora visibili oggi nell’area Spa del castello.
Durante gli scavi archeologici, nella corte sono invece emerse le antiche condotte che, attraverso un ingegnoso sistema idraulico, prelevavano l’acqua da 3 fonti purissime, che alimentano tutt’oggi il castello.
Un altro reperto del castrum ancora presente a CastelBrando è il Forno Romano, magnificamente conservato.
In epoca medievale, le pietre del castrum vennero infine utilizzate per erigere la torre maestra del castello.
Nel 1847 lo scrittore ottocentesco Pietro Beltrame, affascinato dal maniero, ambientò la storia romantica di Gilberto e Amelia entro le possenti mura medievali del castello di Cison. Gilberto, cavaliere fiero e generoso, amava perdutamente Amelia. Gli sposi vivevano nella tranquillità quando un giorno Gilberto fu richiamato dalla fede a partecipare a una delle Crociate in Terra Santa.
Amelia accettò con rassegnazione il distacco e cucì con le sue mani la croce rossa sulla veste del marito. Alla partenza, come pegno d’amore, Gilberto divise in due parti la collana dell’amata e partì; finché la collana non fosse tornata Amelia avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.
I crociati combatterono per lungo tempo e Amelia aspettò per anni il ritorno del marito ma con il passare del tempo la speranza cominciò a svanire. Durante una battuta di caccia un orso fece imbizzarrire il suo cavallo, rischiando di farla cadere, quando sentì una mano forte domare il destriero. Era Isoardo, giovane signore della vicina Mura.
Bastò uno sguardo per far nascere l’amore. I due non si rividero per lungo tempo, finché dalla Terra Santa giunse la notizia che Gilberto giaceva sul campo di battaglia ferito a morte. Sconvolta Amelia uscì a cavallo senza meta e fu raggiunta da Isoardo che per errore aveva ricevuto il testamento di Gilberto recapitato da due crociati.
Poco dopo Isoardo e Amelia si sposarono. Il giorno delle nozze comparve al castello un misterioso cavaliere con la visiera abbassata, che chiese ospitalità. Venne invitato a tavola e lì cominciò a narrare la storia di una collana e di una promessa… Amelia improvvisamente capì e svenne. Gilberto lanciò sul tavolo il guanto e la collana in segno di sfida, accecato dalla gelosia a dalla brama di vendetta. Invano i due amanti cercarono di scappare all’ira del cavaliere.
La fuga terminò al lago di Revine dove i due amanti trovarono la morte. I loro corpi non furono più ritrovati; giacciono ancora nel fondo del lago.
Antica famiglia nobile, originaria probabilmente del Brandeburgo, i Brandolini scesero in Italia per combattere a fianco dei Bizantini. Vengono successivamente ricordati per la partecipazione alla prima Crociata (1096 – 1099 d.C.), impresa in seguito alla quale fu aggiunto il simbolo degli scorpioni neri nello stemma di famiglia.
La storia dei Brandolini si intreccia con quella del castello nel 1436 quando la fortezza e gli annessi possedimenti vengono donati dalla Repubblica di Venezia a Brandolino IV e al suo compagno d’armi Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, per il valore dimostrato in battaglia.
Il famoso Gattamelata, promosso a Capitano Generale dell’esercito della Serenissima, cede poi la fortezza per continuare a combattere, nonostante i suoi quasi settant’anni. Brandolino diventa così conte del castello e la sua famiglia ne rimarrà proprietaria per 523 anni fino al 1959.
Oltre a lui, altri membri si sono distinti come condottieri: da suo figlio Tiberto al temibile Gianconte Brandolini, che riuscì all’inizio del ‘500 a strappare diverse vittorie all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo.
Tra gli uomini d’arte della famiglia spicca invece Antonio Maria Brandolini, nipote di Gianconte, che trasformò quella che era una fortezza medievale in una reggia cinquecentesca, facendo erigere una maestosa struttura la cui facciata rappresenta ancora oggi uno degli scorci più belli di CastelBrando.
Due secoli più tardi, Guido VIII Brandolini fece invece costruire un teatro nell’Ala Rinascimentale del castello, riservato alle feste da ballo e alle rappresentazioni musicali, ma usato anche come luogo di formazione culturale e civile per i sudditi. Affidò poi all’architetto Ottavio Scotti la creazione dell’imponente corpo settecentesco.
Agli inizi del Novecento, i Brandolini sono invece ricordati per aver mantenuto un regime quasi feudale con i contadini alle loro dipendenze. Secondo le regole della mezzadria, quest’ultimi dovevano a spartire parte del loro raccolto con la potente famiglia, proprietaria di tutti i possedimenti della valle. Soltanto nel 1958 i terreni furono messi in vendita in modo che coloro che li avevano coltivati per una vita intera potessero prenderne possesso.
Questa è la ragione per cui la maggior parte delle leggende tramandate oralmente dipingono i conti come figure crudeli e negative.
Per gli abitanti della vallata la figura che più di ogni altra era occasione di fantasie e dicerie, era quella del conte. Uomo d’armi valoroso e padrone indiscusso del feudo, con diritto sulle cose e sulle persone, generava sentimenti contrastanti: dalla gratitudine per i favori concessi alla reverenza, dall’ammirazione alla paura.
Si racconta che i mezzadri e gli affittuari del conte indossassero il vestito migliore per essere ricevuti in udienza e che al suo passaggio erano costretti a eseguire l’inchino, pena una punizione corporale.
Ma c’era anche chi ricorda con gratitudine il conte: non solo manteneva i figli di alcuni paesani in collegio ma cercava di venire incontro alle ristrettezze degli stessi, donando mais e fagioli per permettere loro la sopravvivenza.
Le voci negative venivano invece ingigantite da chi aveva subito torti o angherie. Per esempio, ancora oggi si racconta che il conte imponeva ai suoi mezzadri la Ius Primae Noctis: dopo la cerimonia nuziale, le belle ragazze della contea venivano prelevate dalle loro dimore e portate nell’alcova del Signore, al primo piano del castello, per passare la prima notte di nozze con lui. Spesso questi incontri finivano male per le malcapitate ragazze o per il marito che osava mettere in discussione tale diritto. Si racconta che una notte una donna si rifiutò di cedere alle brame del Signore che infuriato la decapitò e poi la gettò nella botola costruita nell’alcova per tali evenienze. La testa uscì a metà montagna e cominciò a rotolare dal crinale urlando la sua innocenza. Le grida erano tanto forti e laceranti che si udivano in tutta la vallata. Pare che tale passaggio esistesse davvero tanto si dice che la contessa Serra lo utilizzò per sfuggire all’assedio tedesco durante alla prima guerra mondiale.
La figura del conte era talmente temuta che, tra i paesani, c’è chi sostenne di aver visto il conte vagare su un bianco destriero nelle notti di luna piena alla ricerca, forse, della sua anima perduta.